Inmigrantes

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Una storia d’immigrante

Famiglia Bolsi

Parlare sull’immigrazione non è un mestiere semplice perché dietro vi sono sempre delle storie di dolori, partenze, promesse, abbracci, lacrime. La storia de mio nonno Giusseppe Secondo Bolsi non è proprio un‘eccezione.
Nacque il 13 agosto 1875 a Pescarolo Ed Uniti, provincia di Cremona (la città dei famosi violini Stradivarius), nella regione lombarda, che è un paesino agricolo, di suolo fertile dove si coltivano granoturco, mais, lino e principalmente il gelso. Quest’ultimo lo si usa per l’allevamento dei bachi da seta. La seta di questa regione è pregiata tra i migliori del mondo. Il paese fu fondato nel secolo VII. Etimologicamente significa posto di peschereccio perché molto tempo fa questo territorio era coperto d’acqua e si poteva pescare. Ci sono alcune feste caratteristiche: i carnevali e I falò.
A questo punto uno si fa la prima domanda: perché lasciò la sua famiglia, amici, insomma la sua storia e le sue radici? E sempre troviamo la stessa risposta: alla ricerca di un futuro migliore. Emigrare è una profonda decisione che risulta da una situazione politica, sociale ed economica, a volte disperata. Forse, perciò mio nonno non ha mai detto di ritornare al suo paese, secondo dice mio padre.
Partì dal porto di Genova nel vapore Umberto Primo quando aveva sedici anni. Siccome era minorenne, prima di imbarcarsi dovè ottenere un permesso dei suoi genitori. Col suo biglietto di terza classe poteva mangiare solo una volta al giorno. Fu un viaggio senza ritorno.
Arrivò in Argentina il 27 agosto 1892, avendo compiuto diciassette anni sul barco, da solo, senza nemmeno immaginare quale sarebbe stato il suo destino. Nel ricordarlo provo una grande tristezza.
Appena arrivato rimase circa tre mesi nell’ albergo degli Immigranti”. Lavorò come manovale di muratore. Dopo scelse andare a Santa Clara de Buena Vista (provincia di Santa Fe) perché conosceva la famiglia Tondeloni, anche loro provenienti dall’Italia. Fu così che cominciò la sua vita qui, a Santa Fe. Lavorò come muratore. I primi anni furono molto difficili: la solitudine, la nostalgia e il sacrificio furono gli unici sentimenti. Nonostante sempre ebbe la grinta e il coraggio necessario per andare avanti con speranza e fede.
In questo paesino conobbe Maria Elisa Spotti, anche lei italiana (piemontese), una ragazza molto giovane (aveva quindici anni quando si sposò) e carina, fu una brava compagna. Si sposò il 19 giulio 1899. La vita cominciò a offrire i frutti meritati. Una vita di lotta però allo stesso tempo di felicità.
La seconda destinazione fu Felicia dove lavorò come distributore di pane e carne tra i contadini della zona. Dopo un tempo con i suoi risparmi comprò un piccolo negozio a Grutly: tendale e magazzino. Fu lì dove cominciò a fare realtà il sogno de la propria famiglia: nove degli undici figli nacquero in quel paesino (anche mio padre). La nascita di ogni figlio significò una rinnovata speranza, una gioia che produsse profonde radici nella nuova terra.
Nel 1920, col suo spirito imprenditore, si traslocò a Santa Fe. Qui comprò “El Almacén del Plata” (angolo Salta e 9 de julio) essendo fornitore di alimentari e bevande destinati a istituzioni importanti (Regimiento 12 de Infantería e Vigili del Fuoco). Ebbe un grande progresso, nonostante, il suo spirito lo portò a provare nuove rotte. Fu Ceres (noroeste santafesino) l’ultimo destino di mio nonno. Comprò el Almacén de Ramos Generales che lui chiamò “Casa de Ramos Generales de Segundo Bolsi y Cía.” dove si concentrava tutta l’attività commerciale della regione. Comprendeva le seguenti vendite: agente della Banca Spagnola nel Río de la Plata; concessionaria de la General Motors de Argentina con le macchine Chevrolet, Old Smobile y Pontiac, vendita di macchine agricole, vendita di materiali per la costruzione; ammasso e vendita di cereali, alimentari e bevande nazionali e importati; deposito di legno; vendite di tessuti, roba di confezione; calzoleria, biancheria, bazar, ferramenta, agente di Autoline, benzina ed oils. Non mancava nulla in questo negozio. Tutti lavoravano lì. Aveva di tutto, anche aveva un grande cuore solidale presto ad aiutare chi avesse necessità di qualcosa. Fu un uomo buono e generoso, era ben voluto da tutta la gente (i contadini, commercianti e gli impiegati). Ancora oggi lo ricordano con affetto e rispetto. Alcuni anni dopo comprò il grande albergo del paese che lui chiamò “Albergo Italia”. Di questa maniera tutta l’attività commerciale e sociale si svolgeva tramite “Don Segundo”, come lo chiamavano affettuosamente i paesani.
Fu così che un giorno qualunque, parlando con i suoi amici, bevendo mate sotto l’ampia ombra degli alberi, quel “tano” forte e generoso sentì che aveva trovato “un luogo, il suo, nel mondo”. E questo mondo fu Ceres, in piena pampa gringa. “Era un’epoca felice”, dice oggi mio padre. Senza dubbio, vivevano una bella gioventù e formavano una bella famiglia. Finalmente il nonno aveva lasciato indietro la sua prima angoscia e il fantasma della fame.
Mia nonna fu una madre esemplare, ebbe dodici figli, curò di loro e lavorò accanto a suo marito e i suoi figli. Fu un’ eccellente cuoca, preparava esquisiti cibi ed era specialista nei piatti tipici italiani: la bagna cauda, la zuppa di verdure, la polenta e le paste delle domeniche che lei stessa impastava e tagliava (spaghetti in cerotti, ravioli). Cucinava per tutta la famiglia ed anche alcuni ospiti (amici ed impiegati). Sempre lo faceva con un sorriso e cantando. Le piaceva cantare e ricorda mio padre che cantava una ninna nanna che si chiamava “Vieni sul mare”. Anche lo faceta quando puliva i piatti o la roba, mentre spolverava le stanze o il cortile.
Tutta la famiglia godeva della musica, sia classica, di tango o milonga e a tutti piaceva anche ballare.
Un’ abitudine familiare che rimane fino ad oggi tra di noi, (i miei fligli ed io) è quella del gioco a carte: la “bacega”, la “brisca”, la scopa di 15, il tutte, tra altri.
Gli uomini giocavano alle boccie e “al frontón”. Mio nonno aveva costruito un muro alla pasticceria per praticare questo sport. Si facevano i campionati. Anche gli piaceva il calcio e così i fratelli Bolsi, i loro amici ed impiegati formarono una squadra chiamata “Casa Bolsi”.

Afflitto e profondamente triste dalla malattia di suo figlio maggiore e anche per la perdita del suo negozio morì il 4 gennaio 1948, quando io ero appena nata, essendo così l’ultima nipotina.
Oggi i miei piccoli nipoti imparano l’italiano. Sono sicura che prenderanno il legato dei miei nonni, e così la storia continuerà.

 

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